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Il Taiji Quan come Arte Marziale

L’aspetto marziale, che è insito nel taiji quan, appare più evidente nella scuola Chen. Da un punto di vista sia storico che pratico, il Taiji Quan si riallaccia alla scuola cinese della strategia e dell’arte del combattimento. La nozione di combattimento in Cina non si riduce all’idea di lotta contro un avversario reale, ma comprende ugualmente i combattimenti contro i dèmoni (come quelli evocati nei rituali e negli esorcismi), contro le tendenze profonde, contro tutti gli ostacoli che si incontrano nel corso dell’esistenza.

 

Le tecniche di rilassamento e di respirazione eseguite durante la concatenazione dei movimenti consentono lo svilupparsi di una forza interiore e illimitata, chiamata jing[1], che i maestri di Taiji contrappongono alla forza muscolare, considerata nettamente inferiore e limitata. Il jing indica l’energia di un individuo, la sua vitalità, il suo dinamismo, con riferimento all’interiorità di tale forza, che supera il vigore muscolare e anzi lo determina, e che è legata all’atteggiamento psicologico.

 

I maestri della scuola Chen hanno coniato l’espressione “Chansi Jing”, “forza avvolta come un filo di seta”. Questo avvolgimento non si riferisce alla natura della forza stessa, bensì al modo con cui utilizzarla. E Chen Fake precisa che “la forza interiore del Taiji non è un cerchio orizzontale, ma una spirale che si innalza nello spazio”.

 

“Colui che riesce a scacciare la sola idea dell’io e a fare in modo che essa non nasca più, diventa assolutamente come il cielo ed esegue i movimenti del Taiji Quan in armonia con il movimento del meccanismo celeste. Non esiste nulla che non sia, a immagine del Taiji, spontaneità e vivacità e che non fluisca dal nostro corpo”. (Chen Pinsan)



[1] Il carattere omofono “jing” indica “l’essenza seminale”, o sessuale